Relazione al convegno organizzato dal CREDIOP il 27 aprile 1990 in occasione della pubblicazione del volume “Archivio storico del CREDIOP” (altri relatori Ciampi e  Carli ecc.)
pubblicazione a stampa del Crediop, 1990 pagg.19-25

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Il sistema avviato agli inizi del secolo e la nuova concor­renza internazionale

Il completamento di un archivio storico rappresenta un’o­ casione per rimeditare sulle origini e sulle varie fasi dell’evoluzione di un Istituto, le une e le altre intensamente intrecciate con 70 anni di storia economica del nostro Paese.

La prima riflessione va ovviamente alla sua fondazione, che avvenne in due tappe: nel 1919, sotto l’urgenza dei problemi del dopoguerra, fu creato il Crediop allo scopo di facilitare il finanziamento di grandi interventi di bonifica e di assetta del territorio; nel 1924 fu fondato l’Icipu, per accelerare investi­ menti nelle public utilities e in particolare nella produzione di energia idroelettrica, necessarie premesse per ampliare la base produttiva del Paese in un periodo di irrisolte difficoltà di molte industrie tradizionali.

La costituzione dei due istituti fu dovuta principalmente ad Alberto Beneduce, che anni prima aveva già collaborato alla costituzione dell’Ina, di cui fu a lungo consigliere delegato, essendo presidente Bonaldo Stringher, e che negli anni succes­sivi sarà tra gli artefici del risanamento bancario, della costituzione dell’Iri e della riforma bancaria.

Ma se spicca la figura di Beneduce, anche per lo straordinario arco di iniziative che lo vide tra i protagonisti, il motivo ispiratore di queste istituzioni va ricollegato agli orientamenti e all’azione di quei politici e di quegli economisti che, appartenenti alla classe dirigente operante nel periodo giolittiano, ebbero come principale riferimento Francesco Saverio Nitti.

Si deve a loro l’aver affrontato all’inizio del secolo i problemi del nostro Paese in modo nuovo, come “problemi di sviluppo”, al di là delle dispute tra protezionismo doganale e politica liberista. Essi, partendo dalla constatazione che anche una politica di tariffe doganali da sola non sarebbe stata sufficiente per un Paese in ritardo di industrializzazione, avvertirono l’esigenza di un intervento pubblico più articolato e diretto: perché potesse svilupparsi un’economia di mercato, non bastava né attendere, né limitarsi a porre in essere un nuovo quadro normativo, ma occorreva anche promuovere e solleci­tare la nascita di soggetti, istituzioni ed enti per un’adeguata organizzazione del risparmio e per costituire nuove capacità di iniziativa.

Ricordiamo rapidamente che fu proprio in quel periodo che si dette vita ad incentivi economici, che si diffuse l’istituto della concessione, che si adottarono i primi interventi straordinari nel Mezzogiorno. E fu in quel periodo che particolare attenzio­ne fu rivolta al miglioramento e all’arricchimento della struttura dei soggetti istituzionalmente preposti alla raccolta e all’organizzazione del risparmio della nazione, come testimonia anche la costituzione dell’Ina.

Da questa cultura ebbe origine il riconoscimento della necessità di opportune “separatezze” tra le diverse funzioni imprenditive e bancarie e, nell’ambito del sistema finanziario, tra le diverse funzioni di trasformazione del risparmio. Ciò sembra confermare che essa non fu genericamente statalista, ma ispirata ad una logica pluralista di mercato.

Emerse successivamente da questo stesso filone culturale l’iniziativa (con la trasformazione dell’Iri in ente permanente) di dotare il sistema pubblico di una propria capacità imprenditoriale e manageriale nel campo dell’industria. L’intervento pubblico non si poneva in alternativa al sistema privato, ma si proponeva, in dialettica con esso, per i casi in cui era necessario garantire la concorrenza: come suo surrogatorio, laddove l’alternativa sarebbe stato il nulla; per una collaborazione con esso, quando solo lo sforzo congiunto avrebbe consentito di dare, o conservare, al Paese importanti iniziative.

Il complesso di questi interventi e delle motivazioni che ne stanno alla base ci offre un’immagine di grande coerenza, anche se ciascuno dei componenti di questo “sistema” di norme e soggetti venne costituito in tempi diversi, con inter­ venti legislativi estemporanei, in relazione alle occasioni che ne determinarono di volta in volta la necessità.

Si tratta, dunque, di un sistema che caratterizza original­mente la storia di questo secolo dell’economia italiana.

Molte iniziative realizzate nel secondo dopoguerra, nella più lunga prospettiva di osservazione storica che oggi ci è consentita, ci appaiono invero come completamenti di questo stesso sistema. E come tutti i sistemi, anche questo non poteva non essere soggetto alle sollecitazioni e ai mutamenti che l’evoluzione storica determina, e non poteva non correre il rischio di essere a volte non compreso e non adeguatamente utilizzato.

Siamo ora agli inizi dell’ultimo decennio del secolo, in un momento in cui il processo di apertura e di integrazione con gli altri paesi europei è ad una svolta decisiva. All’apertura dei mercati, che ha indotto sempre maggiore concorrenza nei prodotti, segue ora una fase di più vasta apertura. In questa fase sono a confronto non più solo i prodotti, ma le legislazioni economico-fiscali e i sistemi normativi da un lato e, dall’altro, le strutture imprenditoriali, il complesso dei soggetti, enti ed imprese, i protagonisti insomma e le loro capacità di assicura­ re, insieme agli sviluppi che l’integrazione richiede, il mante­nimento di un accettabile grado di sovranità economica.

In ciascuno dei nostri partner europei è vivamente sentita la necessità ed efficacemente perseguito l’obiettivo di operare come sistema nei numerosi casi in cui è in gioco la capacità di iniziativa e di intervento, e nei momenti in cui si presentano, come nell’attuale, problemi di aggiustamento nelle strutture imprenditive.

Dobbiamo prendere atto che, data l’efficacia con cui queste azioni sono svolte in altri paesi europei concorrenti, per l’Italia può presentarsi il rischio di un’accresciuta perifericità, per quanto riguarda le funzioni direzionali e strategiche nei vari campi dell’attività economica.

Il nostro sistema deve affrontare una prova particolarmente difficile, che sarà tanto più ardua da superare se affrontata in modo disorganico e in ordine sparso.

Anche oggi sono necessari aggiornamenti, come è necessa­rio un alto grado di coerenza e consapevolezza. In questo momento, dunque, non sembra inutile rivolgerci, ai fini di progettare il futuro, alle nostre origini, alla nostra storia.

Il ruolo attuale degli istituti speciali nel mercato finanzia­ rio e nel sistema creditizio

Tutti siamo chiamati a riflettere. Per quanto riguarda l’Isti­ tuto che qui rappresento, non posso sfuggire al quesito se, e in che modo, istituzioni specializzate nell’ambito del credito, come gli istituti di credito mobiliare, possano svolgere un ruolo importante nelle nuove condizioni di concorrenza inter­ nazionale e in un quadro normativo europeo orientato alla de­ specializzazione nel settore creditizio.

Per tentare di rispondere a questa domanda, è essenziale proprio la comprensione delle funzioni originali di tali istituzioni. Sovente si dice che queste istituzioni si qualificano per l’esercizio del credito a medio termine. È una verità parziale. Più compiutamente diremo che queste istituzioni furono crea­ te per consentire che una parte del finanziamento all’economia, quello a più alto grado di immobilizzo e rischio, potesse essere trasformato in titoli del mercato finanziario o, se si preferisce usare un neologismo di provenienza francese, titolarizzato.

Con la loro creazione si volle innanzitutto promuovere l’arricchimento dei mercati finanziari e alleggerire il grado di immobilizzazione dell’attivo delle banche che raccolgono depositi-moneta.

Le banche avrebbero senz’altro potuto concorrere a quei finanziamenti, ma tramite l’acquisto di strumenti finanziari facilmente cedibili. Gli istituti mobiliari, essenzialmente attra­verso l’emissione obbligazionaria, offrivano strumenti particolarmente adatti sia per l’attività degli investitori istituzionali in campo assicurativo e previdenziale, sia per accrescere la liquidità delle banche, dando maggiore elasticità e negoziabilità al loro attivo.

L’effetto complessivo era insomma quello di accrescere la capacità di intermediazione e rafforzare la stabilità e l’elastici­tà del sistema.

Porre quesiti sul nostro ruolo significa, dunque, chiederci se queste funzioni possano venir meno, o se lo stesso risultato possa essere conseguito con altri mezzi.

Nella ricerca di una risposta ai problemi di oggi, lo sguardo va alla situazione internazionale. Dai più recenti sviluppi emerge un quadro interessante, per molti aspetti paradossale, e cioè che altrove viene talora annoverato tra le innovazioni finanziarie quello che nel nostro Paese è fenomeno consolidato.

Osserviamo, infatti, proprio in questi ultimi anni una note­vole diffusione della titolarizzazione dei crediti in aggiunta alle emissioni dirette di primari emittenti.

Il fenomeno della titolarizzazione dei crediti si sviluppa in varie forme, tutte però sostanzialmente riconducibili ad una stessa sequenza: concessione dei crediti; loro aggregazione in pool, di cui si emettono titoli rappresentativi, sovente assistiti da garanzie statali o di istituzioni specializzate, loro colloca­ mento accompagnato dal giudizio di una società di rating. Un processo, dunque, complesso, che ha luogo attraverso l’inter­vento di numerosi soggetti, ciascuno dei quali svolge una funzione parziale.

Il più vasto di questi mercati è quello rappresentato dai crediti ipotecari negli Usa (che ha superato i 1500 miliardi di dollari). Il fenomeno si è diffuso al credito al consumo. Recenti sviluppi si segnalano nel campo dei crediti alle costruzioni e alle autonomie locali.

Scarsa è invece ancora la diffusione di questi strumenti nel caso delle imprese commerciali e industriali, anche se sono in molti a prevedere che tale diffusione possa aumentare in futuro. E va ricordato, in proposito, che in Francia è stata recentemente approvata una legge che istituisce i fondi comuni di credito, dando quindi regolamentazione formale a queste operazioni.

Verso tale fenomeno sta anche mutando l’atteggiamento delle banche: la liquidazione di parte dell’attivo è sempre più considerata tra gli strumenti di governo della banca, di fronte ai nuovi problemi posti dalla necessità di dover rispettare i più elevati ratios patrimoniali, in un periodo in cui minori sono i margini di reddito dell’intermediazione ordinaria e quindi minore l’autofinanziamento e meno agevole il ricorso a capitali esterni.

Di fronte a questa tendenza c’è ancora una volta da chieder­ si se sia preferibile una titolarizzazione diretta o intermediata da un istituto di credito mobiliare.

Sono vari i motivi che rendono preferibile in linea di principio la presenza di un intermediario; l’argomento principale è che l’intermediario mantiene un rapporto continuativo tra istituto e cliente che permette, in ogni momento e in relazione ai problemi che possono sopravvenire, di articolare e adegua­ re il rapporto instaurato e arricchirlo con nuove iniziative, compreso il rafforzamento del capitale di rischio.

E per quanto riguarda i costi e le convenienze? Il confronto indica certamente che la concorrenza tra queste due forme di “titolarizzazione” può essere sensibile. Ma, alla luce di quanto accade all’estero, risulta che il complesso delle commissioni e degli oneri fidejussori e assicurativi danno origine a costi delle operazioni sovente non solo non inferiori, ma superiori ai margini che efficienti istituti speciali possono praticare.

Ma perché si mantenga la concorrenzialità dell’istituto mobiliare occorrono condizioni di un triplice ordine: che il mercato delle sue emissioni più tipiche non sia compresso dai titoli di debito pubblico; che agli istituti mobiliari sia mantenuta libertà di azione tra le varie forme di assunzione di rischio, anche al fine di dare alla professionalità specializzata di questi istituti la possibilità di conseguire maggiori utili in corrispondenza dei rischi e di favorirne, anche per questa via, la patrimo­nializzazione; ed inoltre che nel Paese sia adeguata la capacità progettuale nel campo delle infrastrutture e dei servizi di pubblica utilità e, per quanto riguarda le imprese, che al sostegno dei processi di aggiustamento, di integrazione, di ampliamento della base azionaria e, ove occorra, di consolida­ mento del controllo, concorra una pluralità di soggetti capaci di mobilitare capitali.

Ancora una volta emerge, dunque, l’urgenza di un sistema complesso di soggetti che strutturino il mercato. Ed è in rela­zione al ruolo da svolgere in questa prospettiva, che ciascun istituto rimedita la propria storia.

Tutti gli istituti qui presenti hanno già sviluppato iniziative interessanti al riguardo. Ma consentiranno gli altri colleghi che io citi l’esempio della Banca d’Italia che, oltre ad elaborare ri­flessioni e a sollecitare gli aggiornamenti al nuovo quadro internazionale, si appresta a dare un contributo di particolare rilievo con l’impegnativo programma di studi storici avviato nell’imminenza del suo centenario.

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