Relazione al convegno “Bonaldo Stringher e i problemi del finanziamento all’industria in Italia”- Udine, 30 novembre 1954
in “Bancaria” n° 2, febbraio 1985, anno 41°, pagg. 174 – 180

Documento PDF


RIASSUNTO – Nel 1911 la «Rivista delle Società Commercia/i» pubblicò un ampio dibattito intorno alla proposta sulla costituzione di un istituto di credito avente lo scopo cli finanziare, a medio termine, gli investimenti industriali nella forma di mutui ipotecari a fronte di emissioni di obbligazioni. Il dibattito si estese, più in generale, alle forme più efficaci da dare al «credito industriale». Nel 1924, con la costituzione dell’ICIPU, veniva creato un istituto allo scopo appunto di emettere obbligazioni per finanziare, a fronte di garanzie ipotecarie, le attività produttive seppure limitatamente al settore delle imprese di pubblica utilità (imprese private, elettriche, telefoniche, ecc. operanti in regime di concessione. Con l’ICIPU si afferma un modello di credito speciale, che sarà poi adottato su scala sempre più vasta per il finanziamento di tutta l’industria manifatturiera, soprattutto nel secondo dopoguerra. La creazione di un sistema di «credito industriale» fu, invero, al centro delle riflessioni di chi, come Stringher, viveva la particolare esperienza del Consorzio per sovvenzioni su valori industriali e di quanti in quei difficili anni vissero da protagonisti il travaglio della ricerca di «nuove soluzioni»: travaglio che, in parte, si ripropone nelle attuali vicende e prospettive.

 

1 – Nella Relazione al Bilancio del 1924 del Con­sorzio per Sovvenzioni su Valori Industriali (1), Bonaldo Stringher, dopo un ampio esame dei prin­cipali problemi del finanziamento delle imprese e del mercato finanziario, concludeva:

«Di vero giovamento a taluni rami del la­voro nazionale e al mercato dei capitali è stata la costituzione del Consorzio di credito per le opere pubbliche CREDIOP, che oggi ha compiuto un quinquennio di vita sempre più alacre e prospera sotto la presidenza dell’On. Alberto Beneduce. E con rescritto del Ministro delle Finanze, in data 25 ottobre del decorso anno fu appro­vato lo Statuto dell’ICIPU – Istituto di credito per imprese di pubblica utilità – e quindi elet­triche, di ferrovie, di acquedotti e somiglianti – da noi salutato come una felice promessa dell’avvenire».

Di eventi importanti certamente si trattava.

Nasceva il “credito speciale” per l’industria. Con l’attuazione di questo Istituto prendeva con­sistenza il mercato delle obbligazioni che acqui­sterà via via dimensioni crescenti e che rappre­senterà certamente la più importante, se non la sola, innovazione nella direzione dello sviluppo di un mercato finanziario in Italia.

Con questa istituzione si avviava il finanziamento delle attività industriali nella forma da mutui ipotecari a fronte di emissioni obbligazionarie. Con poche modifiche, sarà questa la for­ma di intermediazione che caratterizzarà successivamente in buona parte il credito industriale in Italia e con la quale sarà finanziata una larga quota degli investimenti, non solo nei decenni successivi, ma ancor più da quando, dopo il secondo dopoguerra, si verranno moltiplicando le istituzioni operanti secondo quel modello.

Si creavano poi con questi istituiti alcune importanti premesse organizzative dell’ordinamento che sarà definito con la legge del 1936.

Per le attività produttive interessate si ampliavano le possibilità di coprire parte dei fabbisogni finanziari, anziché col solo capitale sociale o con il debito a “breve” presso le banche, con un debito da rimborsare secondo un piano predeterminato, correlabile nelle scadenze ai redditi futuri d’impresa conseguenti gli investimenti.

Per il mercato finanziario, con la diffusione delle obbligazioni, si dischiudevano nuove opportunità sia per il pubblico che per gli interme­diari.

A quella parte del risparmio del pubblico, che era caratterizzata da minor propensione al rischio, si offriva la possibilità di concorrere al finanziamento degli investimenti tramite strumenti finanziari preferiti alle azioni.

Chiamando a partecipare al capitale di questi istituti, la Cassa Depositi e Prestiti, l’lstituto Na­zionale delle Assicurazioni, la Cassa Nazionale per la Previdenza Sociale e le casse di risparmio si creavano le premesse perché anche il risparmio raccolto da queste diverse istituzioni potesse essere indirizzato alla formazione del capitale produttivo dell’economia. ·

Si offriva inoltre alle banche la possibilità di partecipare indirettamente al circuito del finan­ziamento degli investimenti attraverso la sotto­ scrizione di obbligazioni facilmente smobilizza­bili, in alternativa a molti crediti formalmente a breve, in realtà caratterizzati da elevato grado di immobilizzo.

Per l’autorità monetaria, da una minore rigidità dell’attivo bancario avrebbe potuto discen­dere anche la auspicata minore rigidità nel controllo della circolazione.

Si avviava con questa iniziativa poi una ri­forma nell’organizzazione del risparmio e del credito nel senso della specializzazione e della trasparenza. Si venivano diversificando le istituzioni creditizie e le attività finanziarie offerte al risparmio, secondo un modello più articolato mirante ad una più diretta corrispondenza tra grado di liquidità e grado di rischio insito nelle attività finanziate e tipologia delle passività emes­se un modello, cioè, mirante a minimizzare le trasformazioni di scadenze e soprattutto di rischio operate dagli intermediari.

Nella relazione al bilancio del 1923 del CSVI Stringher aveva così commentato la situazione del­ la finanza industriale: “Gran parte dell’attrezzatura manifatturiera del paese è stata formata, ne­gli ultimi venti anni, attraverso il credito bancario esercitato dagli istituti che raccolgono depositi. Qui non si indagano le cagioni di una tale situazione di cose, né si intende di dimostrare che, attese le condizioni economiche e finanziarie d’Italia durante l’accennato periodo di tempo, non sarebbe stato possibile di seguire altra via. Si constata soltanto un fatto, per accennare che at­tualmente una via diversa dovrebbe essere battuta, allo scopo di preservare la nazione da quelle scosse che il metodo seguito in passato può produrre, come recentemente ha prodotto, per inelut­tabile legge economica.

Nelle nostre relazioni precedenti è stato messo in rilievo che molte aziende industriali hanno ca­pitali azionari non adeguati al valore corrente de­gli impianti e degli strumenti necessari all’attività normale. E’ noto, altresì, che talora buona parte di siffatti, pur sufficienti capitali, trovasi inve­stita in titoli di altre aziende, operando il così detto sistema della catena; o trovasi collocato presso le banche di credito ordinario, anche fra le più modeste, nelle più svariate forme: parteci­pazioni, riporti, garanzie di crediti cambiari, o in conto corrente. Per il resto è ancora credito che, in realtà, provvede a soddisfare bisogni non transitori, ma a necessità permanenti.

Per la quale cosa avviene che somme cospicue di risparmio, affluite a taluni istituti sotto for­ma di depositi a breve premonizione, o anche in vista, trovansi investite in maniera duratura a fini industriali; e non sempre sollecitamente mo­bilizzabili, di fronte alla possibilità di subitanee domande di ritiri di depositi”.

La riflessione sul problema del credito industriale coincideva di fatto con la più vasta rifles­sione sul sistema finanziario creditizio, anche in vista di una sua riforma. I problemi del credito industriale finivano cioè con l’identificarsi con quelli dell’organizzazione del risparmio, dei merca­ti finanziari, degli intermediari, alla ricerca di quella “strada diversa» da battere nel futuro per il finanziamento dell’impresa.

Ed in questo contesto, la nascita di CREDIOP- ICIPU veniva considerata innovazione interes­sante per le ripercussioni e per le modificazioni che con essi si introducevano nel sistema crediti­zio e finanziario, quali possibili modelli nuovi atti a integrarlo e perfezionarlo.

La loro costituzione non è solo considerata in funzione degli obiettivi settoriali che con il loro concorso si sarebbero realizzati (finanziamenti al­le opere pubbliche e alla nascente industria elettri­ca e telefonica, ecc.), ma piuttosto lo sviluppo de­ gli investimenti in questi settori era considerato e colto come occasione per dar corso a strumenti nuovi di intermediazione, con orizzonti e obiettivi di più generale portata per l’organizzazione del nuovo mercato finanziario.

Si aggiunga che la costituzione dell’ICIPU fu considerata positivamente anche in rapporto alla situazione che si andava creando con il risana­mento del debito pubblico, conseguito proprio in quel periodo.

“Oggidì che il paese si avvia ad un lavoro ordinato e proficuo, e il definitivo assetto delle finanze statali sta per conseguirsi con il pareggio del bilancio, dev’essere curato ogni miglior modo per volgere verso l’industria manifatturiera e l’agra­ria le nuove correnti di risparmio che lo Stato non avrà più bisogno di attrarre a sé”.

“Il segreto per riuscire sta nella cordiale in­tesa delle maggiori forze finanziarie del paese, e nella buona scelta dei mezzi tecnici capaci di offrire al risparmio, e quindi al capitale, garan­zie di rigorosa e prudente condotta nei diversi investimenti, trasformati in valore severamente gestiti, e rappresentati da pochi titoli aventi saldi presidi» (2).

Quello che si identifica in questo periodo non è dunque un dibattito sul sistema o un’ulteriore analisi dei suoi bisogni di riforma. Era già l’ini­zio della sua riforma.

 

2 – Solo dibattito invece fu quello che si svolse, tredici anni prima, nel 1911, sulla Rivista delle Società Commerciali, nel suo primo anno di pub­blicazione. Si era in un periodo di prolungata crisi di aggiustamento industriale dopo i gran­di sviluppi culminati nel 1905-1907. In quella se­de era particolarmente vivo il tema della rifor­ma del codice di commercio e della legislazione sulle società per azioni, ed anche per questo il dibattito fu particolarmente ricco di riflessioni e di riferimenti a più ampie problematiche.

L’occasione fu una proposta diremo settoriale. Sulla scorta di una approfondita e documentata premessa, il presidente dell’Associazione Industriali Cotonieri, Costanzo Cantoni, presentò infatti la proposta della costituzione di un istituto di credito avente lo scopo di concedere mutui ipotecari alle imprese cotoniere a fronte della emissione di obbligazioni. Era espressamente indicata la scelta della tipologia del credito fondiario come quella meglio adatta, tra quelle praticabili nelle circostanze del tempo.

Nell’ambito dell’Associazione si sviluppò la discussione sul credito industriale e maturò la pro­posta per la costituzione di un istituto siffatto, ma per il finanziamento di tutta l’industria manifatturiera (3).

Fu ampiamente analizzato quanto avveniva all’estero e fu scartata l’ipotesi di un istituto sul modello adottato in Svizzera. Qui operava la ”Société suisse pour valeur de placeiment”, costituita a Basilea nel 1907 (proprio l’anno della crisi). Essa poteva costituire a garanzia delle proprie obbligazioni un pegno sui valori industriali posseduti, consegnati a custodia presso una fiduciaria. Fu indicato invece quale modello di riferimento quello operante da tempo in Austria.

Già dal 1898 aveva infatti inizi1ato ad opera­re la Banca Industriale Boema di Praga avente lo scopo di accordare prestiti all’industria garan­titi da ipoteche su beni reali.

La discussione, come si è detto, prendeva le mosse dall’analisi della crisi in corso e delle sue cause.

Già sulla natura della crisi vi era vivace di­scussione. A quanti indicavano come cause della crisi stessa la “eccessiva” concorrenza estera, gli “eccessivi” costi interni, e in particolare la caduta del mercato dei capitali e la scarsità di credito bancario, rispondeva l’Einaudi sottolineando essere quelle piuttosto le conseguenze, non le cause della crisi, che andavano invece ricercate negli “eccessi” compiuti nel periodo precedente e fondamentalmente negli eccessi di investimento e di creazione di capacità produt­tiva, nel conseguente eccesso di domanda di fattori della produzione, nonché negli eccessi e abu­si verificatisi sui mercati dei capitali dai quali, dopo tanti guadagni, le perdite enormi allontanavano spaventati i risparmiatori.

Non è questa la sede per dilungarsi sull’analisi di quella crisi.

Solo appare opportuno richiamare come, in questo contesto, fosse naturale l’osservazione che la soluzione non potesse essere trovata nella creazione di un nuovo intermediario.

Per superare le difficoltà di finanziamento occorreva prima rimuovere le cause della crisi, non sostenendo, ma lasciando fallire le attività meno economiche (Einaudi).

Si rispondeva che la riduzione delle capacità produttive nell’industria non sempre è la ricet­ta giusta di fronte agli alterni andamenti della domanda, e, in ogni caso, affidarla all’operare delle elementari leggi del mercato non necessariamente avrebbe prodotto le conseguenze più efficaci. Sarebbero cadute le imprese più indebitate, non necessariamente quelle operanti con gli impianti più obsoleti (Cantoni).

Emergeva cioè la necessità di una articolazio­ne del finanziamento all’industria che consentis­se una minor labilità e instabilità nella gestione finanziaria delle imprese, riducendone la dipen­denza dalle oscillazioni dei mercati azionari e monetari.

Oggetto di riflessione erano le carenze strutturali del mercato finanziario.

La crisi aveva depresso il mercato azionario, ma si osservava nella Relazione dell’Associazione:

“In Italia, il pubblico è meno evoluto economicamente, l’assorbimento, da parte sua, di titoli azionari è meno sollecito e meno abbondante». Le obbligazioni emesse dalle industrie “ven­nero preferite alle azioni e trovarono un certo favore presso il pubblico, ma anche le emissioni di questi titoli, a parte le difficoltà gravi che incontrano nella legislazione commerciale ed in quella fiscale, non trovano più facile e sollecito assorbimento».

“In tali condizioni le banche hanno cercato di aiutare le società industriali mediante il credito ordinario cambiario già oltre i livelli richiesti per fronteggiare le esigenze temporanee e di breve durata di esercizio. Da qui la difficoltà a reperire nuovo credito e, da parte delle banche, a concederne; la restrizione che ne consegue aggrava la situazione e il malessere delle indu­strie maggiori”.

Per comprendere meglio i termini in cui al­lora si ponevano i problemi, si considerino alcu­ni dati riportati nella Relazione della Associa­zione, a dimostrazione di quanto sopra.

Si citava ad esempio il caso delle società co­toniere, nelle quali tra il 1907 e il 1909 il capi­tale era cresciuto di soli 24 milioni, gli impianti di 35 milioni e i debiti bancari di 76 milioni. Complessivamente nel 1909 a fronte di 208 milioni di impianti si registravano 234 milioni di capitale e 227 milioni di debiti. Si aggiungeva che le obbligazioni non superavano i 27 milioni. Le imprese non apparivano dunque gravemente ”sottocapitalizzate”. Era piuttosto la eccessiva polarizzazione, nelle due forme di capitale azionario e di credito bancario, che veniva criticata, e la “pratica assenza di altre forme più appropriate di finanziamento, in primo luogo delle obbliga­zioni”.

Non si mancava di richiamare la troppo scar­sa diffusione di “azioni di preferenza», men­tre, per quanto riguarda il credito di esercizio, si segnalavano ai fini della diversificazione delle forme di finanziamento le Notes americane – obbligazioni a breve durata – nonché le forme già adottate in Austria e Germania della cessio­ne dei crediti a mastro, antenato del moderno factoring.

Al centro del dibattito erano i motivi che ostacolavano la diffusione delle obbligazioni.

Ampiamente criticate erano le disposizioni del codice del commercio che ad esempio all’art. 171 limitava alle società la facoltà di emettere obbligazioni ad un valore non eccedente quello del loro capitale esistente.

Vivace era il dibattito sulla giurisprudenza del recente passato; in particolare su una sentenza­ della Cassazione di Torino, che in base al l’art. 172 del codice di commercio, considerava non valida un’emissione obbligazionaria se non deliberata da una assemblea composta dai rappresen­tanti di almeno 3/4 del capitale e con il voto favorevole di almeno la metà del capitale stes­so. Si osservava come questa interpretazione col­piva specialmente le grandi società, proprio quelle dalle quali ci si attendeva eventualmente un maggior ricorso a questa forma di finanziamento. Più in generale si evidenziava la posizione di svantaggio in cui si trovava l’obbligazionista che, pur assumendo elevati rischi, non disponeva di strumenti di controllo sulla società e di tutela del proprio risparmio.

Richiamando la discussione in corso al ri­guardo, in quello stesso periodo in Francia si avanzavano proposte (Vivante) di innovazioni le­gislative nel senso della costituzione di consorzi di obbligazionisti che, seguendo la società nelle sue vicende, potessero efficacemente e tempestivamente tutelare l’interesse dei portatori di obbligazioni. “… Questi ultimi, mediante una rappresentanza stabilmente costituita ed eventuali assemblee, avrebbero potuto consentire a ri­forme dello Statuto, a riduzioni degli interessi, ad accelerare o ritardare il piano degli ammor­tamenti, ecc.”.

Circa i problemi di natura fiscale, da un confronto internazionale emergeva come il trattamento fiscale delle obbligazioni fosse, in Italia, il “più gravoso del mondo”.

Orbene con la costituzione di un istituto che facesse mutui a fronte dell’emissione di proprie obbligazioni si pensava di poter superare alcuni di questi ostacoli.

Nei rapporti istaurati tra istituto e società con i contratti di mutuo, ad esempio, potevano essere previsti e articolati quei condizionamenti, quel­le tutele, quelle possibilità di sorveglianza impossibili al sottoscrittore delle obbligazioni direttamente emesse dalle società. Anche sul piano fi­scale si pensava che avrebbero potuto essere estese all’istituto le riduzioni su1l’imposta di ric­chezza mobile già accordate alle obbligazioni emes­se nel campo del credito fondiario.

Era palese a tutti poi come attraverso le gran­ di emissioni di uno o pochi istituti sarebbe stato più facile creare un mercato delle obbligazioni.

Si poteva ovviare in tal modo anche al limite costituito dalla esiguità delle emissioni fatte da piccole società che creavano titoli, come annotava Einaudi, “introvabili quando si cercano, invendibili quando si vogliono vendere».

Sempre nell’ottica della maggiore stabilità del­ la finanza di medio termine si osservava come l’Istituto proposto avrebbe potuto raccogliere mezzi in periodi di più facile disponibilità del mercato finanziario ed erogarli, alle imprese, nei momenti di maggiore necessità.

Il patrimonio dell’istituto, infine, avrebbe rappresentato un ulteriore elemento di garanzia per gli obbligazionisti, tale da favorire più stabili andamenti nei corsi dei titoli rispetto alle oscil­lazioni dei mercati azionari.

Veniva poi la discussione sulla tipologia più appropriata per il credito all’industria, dei criteri in base ai quali avrebbe dovuto operare l’Isti­tuto nel concedere crediti e infine sulle garanzie da assumere a fronte della concessione del credito.

La discussione al riguardo mostrò come fos­sero già chiare sia tutte le potenzialità sia i limiti di una eventuale applicazione al settore in­dustriale delle forme di finanziamento proprie del credito fondiario ipotecario.

Il riferimento ad ipoteche offriva infatti una soluzione non ottimale, ma realisticamente prati­cabile, ed una via di uscita di fronte a numerosi problemi: innanzitutto di fronte al problema del­ la valutazione, nel credito a lunga scadenza, dei rischi relativi a periodi futuri eccedenti il possi­ bile orizzonte di prevedibilità.

In secondo luogo, era una via di uscita di fronte al problema della straordinaria qualificazione che si sarebbe richiesta agli amministratori di siffatti istituti dovendo operare sull’intero spettro delle attività industriali. E l’immagine di istituti specializzati di settore, ammini­strati da competenti di settore, presentava sfu­mature di preoccupanti commistioni finanza-industria a discapito dell’obiettivo della tutela del risparmio.

E sempre al fine della tutela del risparmiatore appariva opportuno il riferimento a ipoteche su beni reali, in aggiunta all’esistenza di un adeguato patrimonio dell’istituto. Si ricordava poi come il peggior nemico del credito fosse “più credito”. L’acquisizione di ipoteche su beni reali appariva forma idonea per ridurre fa base di riferimento per eventuali eccessi di credito.

Ma, come si è detto, si richiamavano anche i limiti di queste soluzioni.

“Il valore di uno stabilimento dipende in piccola parte dalla sua ricchezza immobiliare: in parte senza paragone più rilevante da altri valori, come l’ubicazione, la clientela, la direzione tecnica e commerciale, la natura delle merci fabbricate (a domanda più o meno elastica a of­ferta più o meno rapidamente variabile, ecc.) valori dei quali alcuni assolutamente immateriali, che solo l’estimazione di mercato, fatta da uomini consumati nella pratica di quella deter­minata industria, riesce a tradurre in lire. Da qui una fondamentale difficoltà per accordare all’industria un credito reale». (Cabiati),

Aggiungeva l’Einaudi: “Quanto più l’Istitu­to opererà su vasta scala, tanto più sarà costret­to a sostituire all’elemento della fiducia “personale verso l’industriale, l’elemento della fidu­cia ” reale”, oggettiva, garantita dalle cose, im­mobili, macchine, forze d’acqua, ecc.. Io non dico che siffatta forma di credito sia inutile. Tutt’altro. Affermo però che l’opportunità del credito reale non dimostra l’inopportunità del credito personale”.

Lo stesso Cantoni, invero, nel confermare la bontà della sua proposta di un istituto per l’“esercizio del credito industriale mediante il credito ipotecario nella forma adottata dal credito fondia­rio”, la presentava come la parte più immedia­tamente possibile di un programma che avrebbe dovuto imperniarsi anche sulle riforme legislative per favorire l’emissione di azioni di prefe­renza (per le industrie a reddito variabile, defi­nite il titolo principe, assai migliore delle obbli­gazioni) e di obbligazioni. Programma che però richiedeva non solo modifiche di grande portata nella legislazione, ma anche il maturare di una più vasta “educazione” del mercato.

Nelle considerazioni finali l’Associazione finì coll’affermare la maggiore urgenza della riforma legislativa in campo societario e fiscale.

 

3 – Quando nel 1924 si costituisce l’ICIPU si realizza un soggetto intermediario assai simile a quello proposto nel 1911, ma con alcune diffe­renze fondamentali.

La principale differenza stava nel fatto che espressamente si dava vita ad un istituto le cui finalità erano di finanziare, con il modello del credito fondiario, attività produttive ma solo quelle i cui investimenti posseggono in maggior misura carattere «immobiliare»: invasi, dighe; reti e impianti di produzione e distribuzione di energia elettrica, reti telefoniche, ecc.. configu­rano investimenti a lungo ammortamento, per l’erogazione di beni e servizi la cui domanda, al di là delle possibili oscillazioni cicliche, si svi­luppa nel lungo periodo. Il valore degli impianti si mantiene, data la loro natura, al di là non solo delle oscillazioni della domanda, ma anche al di là delle vicende delle società che li gestiscono. L’ipoteca sugli impianti rappresenta dunque proprio il riferimento a quanto di più duraturo vi è in questo tipo di impresa.

La proposta dell’ICIPU nasce, come ricorda­to, in un momento in cui il risanamento delle finanze apriva spazi, prima occupati da titoli di Stato, per nuovi titoli “non molto dissimili nella gamma della rischiosità”. E il nuovo strumento consentiva di occupare tali spazi con l’opportu­na gradualità.

E’ su questa base, e non con riferimento ad ambigue esigenze di risanamento finanziario delle imprese, che nasce il nuovo istituto. Tra l’altro si trattava di finanziare, tra le attività del tempo, quelle più promettenti m termini di cre­scita rispetto a tutte le altre attività industriali, più o meno alle prese con gravi problemi di ri­conversione, che, non affrontati e non risalti, già si traducevano in situazioni di crisi. (Non fu un caso che l’Istituto Mobiliare Italiano nel 1932 iniziasse la sua attività finanziando imprese elet­triche e telefoniche, quelle, cioè, per le quali già operava l’ICIPU).

Mentre nel 1911 si considerava, tra le ipotesi, quella che a capo dell’istituto speciale fossero messe anche imprese operanti nel settore, a par­tecipare all’ICIPU, come si è detto, vennero invece chiamati Cassa Depositi e Prestiti, INA, INPS, ecc.; dunque i potenziati “assuntori” di obbligazioni, cioè i rappresentanti gli interessi del risparmio piuttosto che i rappresentanti degli interessi dei finanziandi (4).

Tutto ciò conferma, ancora una volta, come la “concezione” del ’24 fosse coerente e completa e con implicazioni rilevanti sulla organizzazione del mercato e del risparmio.

 

4 – Dalle preziose analisi contenute nelle rela­zioni di Stringher così come anche dalle carte di Alberto Beneduce si evince come gli anni suc­cessivi al 1924 furono di grande travaglio, an­che personale, intorno ai modi per sviluppare ulteriormente la riforma iniziata con l’ICIPU verso la creazione di istituzioni speciali per il finanziamento di tutta la restante industria ma­nifatturiera, il cui capitale non avesse carattere “immobiliare”.

Furono anni di travaglio per le difficoltà di organizzare una soluzione coerente e stabile in un periodo in cui incombevano sempre più vasti problemi di immobilizzo nelle banche e crescenti perdite nelle imprese e quindi nelle banche stesse. Lo stesso Stringher nell’anno in cui salutava la nascita dell’ICIPU aveva avuto modo di riferire al Ministro de’ Stefani l’ammontare davvero con­siderevole degli impegni che erano stati assunti dagli istituti di emissione verso la Sezione auto­ noma del CSVI per gli interventi nelle sistema zioni del Banco di Roma, della Banca Italiana di Sconto, del gruppo Ansaldo. Si trattava di ben 4 miliardi e 200 milioni, una cifra dell’ordine del 22 % dell’intera circolazione di biglietti (5).

Dominava in quegli anni la preoccupazione di questo gravoso peso sulla circolazione bancaria e continua era la ricerca di dar vita a forme d1 intermediazione “nuove” a favore dell’industria con ricorso, non al risconto presso gli istituti di emissione, ma al mercato del risparmio.

Stringher, pur tra una proroga e l’altra del CSVI, veniva considerando la possibilità di indi­rizzare il Consorzio stesso verno una sua autono­ma attività di finanziamento con provvista di mercato.

Nello stesso 1924 (quasi contestualmente alla nascita dell’ICIPU) il CSVI veniva autorizzato a emettere buoni fruttiferi a scadenza “un anno”. Le condizioni di mercato non furono più valutate come immediatamente favorevoli per tali emissio­ni. Si dovette attendere il 1927.

Val la pena richiamare le parole stesse di Strin­gher nella relazione al bilancio del 1925, circa l’importanza di questa innovazione: “Non è chi non veda quali vantaggi deriverebbero dalla emissione di siffatti buoni fruttiferi: sia perché le ope­razioni del Consorzio peserebbero di meno sulla circolazione dei biglietti, attraverso una minor ci­fra di risconto presso gli istituti di emissione; sia perché, attingendo le disponibi11ità al privato ri­sparmio, il Consorzio, non più necessariamente legato per ogni operazione agli istituti di emissio­ne, si avvierebbe ad assumere carattere di auto­nomia, e sarebbe, quindi, suscettibile di trasfor­marsi – ove si volesse – in libero istituto di credito alle industrie, del quale l’economia gene­rale sente il bisogno.

A tali vantaggi si è dovuto rinunziare finora, perché la condizione del mercato non avrebbe permesso, come ancora non permette, una emis­sione di buoni fruttiferi del Consorzio a saggi di interesse convenienti”.

Nella stessa relazione Stringher avanza una ipo­tesi di rilancio del Consorzio nell’ambito di un mo­dello di organizzazione del credito all’industria. Il CSVI avrebbe potuto svolgere “… un’attività indubbiamente giovevole all’economia genera­le: un’attività che, opportunamente coordinata a quella del Consorzio di credito per le opere pubbliche, e a quella dell’Istituto di credito per le imprese di pubblica utilità, varrebbe a dare lo­gico assetto alla organizzazione creditizia in pro della industria nazionale.

Infatti, mentre i detti istituti sono chiamati a consentire operazioni di mutuo a più o meno lungo termine, avvalendosi della emissione di obbligazioni, il Consorzio, agendo a fianco, con operazioni a scadenza relativamente breve, fareb­be opera di integrazione e di preparazione insieme, in quanto i suoi prestiti potrebbero servire alle industrie manifatturiere nei periodi di tempo precedenti fa contrattazione dei mutui, per scom­parire eventualmente col nascere di questi”.

Nel 1927, quando fu possibile una prima emis­sione di buoni fruttiferi del CSVI, Stringher an­ nuncia la non utilizzazione totale dei mezzi così raccolti.

“Se non che, le condizioni di disagio nelle quali molte industrie sono venute a trovarsi, a seguito della rapida rivalutazione della lira, hanno portato un rallentamento del ritmo lavorativo, mentre si accrebbe, per forza di cose, lo smaltimento delle giacenze di prodotti raccolti in ma­gazzino”.

“D’altronde è stata sempre abitudine del Con­sorzio, e lo sarà per il periodo di vita che ancora gli resta, di non sollecitare mai operazioni, anzi di essere giustamente prudente nel concederle, scar­tando tutto ciò che, comunque, possa dar sospet­to di alea o di speculazione”.

Gli sforzi compiuti nell’individuare soluzioni nuove per ridurre gli impegni dell’istituto di emis­sione sono comprovati da un progetto di trasfor­mazione dello stesso CSVI che trovasi tra le altre carte di Beneduce risalenti al 1926 (6).

Il progetto prevedeva una istituzione che emet­tesse sul mercato titoli di tipo obbligazionario o speciali titoli di debito consolidato avendo a fronte e a garanzia valori mobiliari ceduti da banche in misura tale da garantire in ogni momento il valore del titolo emesso in contropartita.

Con il passare del tempo e con l’evidenziarsi di una vasta area di perdita, anche le proposte (si vedano quelle del 1931 in relazione ai problemi della Banca Commerciale Italiana) di organi­smi atti a sostituire il ricorso all’istituto di emis­sione con provvista di mercato, venivano corre­date sempre più con la previsione di interventi della finanza pubblica (garanzia dello Stato sulle emissioni, assicurazioni di minima remunerazione dei titoli emessi, ecc.) fino alla costituzione dell’IRI.

Piena di incertezze e di tentennamenti, che confermano i travagli del tempo, appare anche la fase costitutiva dell’IMI nel 1931. La creazione di questo istituto infatti, veniva, contemporaneamente, richiesta o interpretata vuoi come la riedizione del “Crédit Mobilier”, vuoi come la creazione di un organismo di smobilizzo, ma in pratica di sal­vataggio bancario, vuoi come l’estensione del cre­dito ipotecario a medio termine, secondo il model­lo ICIPU, all’industria manifatturiera.

 

5 – Come già accennato, a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, mentre da un lato con la costituzione di Mediobanca fu realizzata una nuova soluzione nell’ambito delle tradizionali ban­che a vocazione industriale, la forma del credito ipotecario venne applicata su scala sempre più vasta all’industria manifatturiera.

Contribuirono a questi svolgimenti le leggi di incentivazione, che sancirono quella del credito ipotecario come “la forma” che doveva assumere: il finanziamento agli investimenti per essere vei­colo delle agevolazioni.

Gli sviluppi successivi hanno ampiamente con­formato sia le ampie potenzialità positive sia anche i limiti di questa forma di credito quando applicata all’industria manifatturiera.

Stimolati dalle vicende, sollecitati dalla stessa autorità monetaria nelle recenti analisi sui problemi strutturali dell’economia, gli Istituti di credito speciale hanno sviluppato con particolare intensità la riflessione sui nuovi problemi.

Nella attuale fase di sviluppo industriale la crescita delle imprese è, e sarà sempre più, fondata sulla capacità di adattamento e sulla capacità di innovare, con cicli di prodotto più brevi, con investimenti di più varia e complessa natura.

Appare dunque, in prospettiva, ulteriormente ridotta la componente “immobiliare” del capitale delle imprese anche rispetto agli sviluppi manifatturieri dei decenni passati.

Sono dunque vivi i problemi del finanziamento di questi sviluppi e cioè di un finanziamento, con alto grado di rischio, senza l’illusione delle ipoteche.

Lo svolgimento di questo compito presuppone l’istaurarsi di nuovi rapporti fra istituti e imprese per molti aspetti di tipo opposto a quelli spesso frammentari e occasionali istaurati con il credito ipotecario. Fermo restando il loro carattere ban­cario, i nuovi rapporti si debbono articolare e sviluppare con continuità nelle varie fasi della crescita dell’impresa, sia in quelle favorevoli sia in quelle difficili.

Una parte non piccola di quei finanziamenti è necessario sia reperita nella forma di capitale di rischio. Ed in tal senso occorre considerare le effettive possibilità di arricchimento futuro del mer­cato finanziario. Arricchimento che potrà correlarsi ad una graduale riduzione di vincoli ester­ni, sia fiscali che valutari, ma soprattutto alla riduzione della pressione del fabbisogno del settore pubblico sul risparmio e alla riduzione dei rendimenti reali, che la eccezionalità della fase attuale vede riconosciuti ai titoli di Stato.

Ma anche per un efficace e non occasionale ampliamento del ricorso al mercato di capitali da parte delle imprese, è necessario l’istaurarsi di rapporti continuativi tra istituzioni organizzatrici della finanza a più elevato rischio e le imprese stesse.

Di fronte a questi complessi problemi sono più preziosi che mai gli insegnamenti che ci vengono da quanti in tempi passati ci richiamarono al pri­mato del credito “personale” su quello “reale” nel caso dell’industria e soprattutto di quanti af­frontando problemi, di epoche assai diverse, ma di non dissimile natura, ci hanno lasciato una grande lezione di metodo: un impegno continuo e assiduo verso il nuovo, senza fughe dalla realtà storica verso modelli astratti, e la coscienza che nell’organizzazione del risparmio e nel mercato finanziario il duraturo si costruisce solo con gradualità.

 

NOTE

(1) Il Consorzio per Sovvenzioni su Valori Industriali venne costituito con R.D. 20 dicembre 1914, n. 1375. Il capitale di 25 milioni venne sottoscritto dai tre isti­tuti di emissione (Banca d’Italia, Banco di Napoli, Ban­co di Sicilia), dall’Istituto delle Opere Pie di S. Paolo, dal Monte dei Paschi e da alcune casse di risparmio. Si avvaleva del personale della Banca d’Italia, era di­retto da un Comitato amministrativo ed era presieduto dal Direttore Generale della Banca d’Italia. Nelle città di Milano, Torino, Genova, Firenze, Roma, Napoli e Palermo la rappresentanza dell’Ente era attribuita ai direttori delle sedi locali della Banca d’Italia. Il Consorzio poteva effettuare sovvenzioni cambia­rie, a non più di quattro mesi di scadenza (salvo rinnovi), contro pegno di titoli industriali e di materie pri­me provenienti dall’estero a favore di industrie nazionali; poteva inoltre scontare note di pegno emesse da magazzini generali e cambiali industriali a due o più firme. Le operazioni attive non potevano superare di dieci volte il capitale e l’Istituto doveva cessare la sua attività entro il 1917. Il termine operativo testimoniava la straordinarietà dell’Ente, sorto, come è detto nel bilancio del 1930, “per compiere speciali operazioni, che non potevano appoggiarsi agli istituti di emissione, con lo scopo di rassicurare il mercato dei titoli industriali, allarmato dalla possibilità che il panico e il di­sorientamento prodotti dall’inizio della conflagrazione eu­ropea, facessero, da un momento all’altro, mancare il so­stegno dei riporti. Il nuovo Ente avrebbe potuto anche aiutare gli istituti di credito ordinario che non si fossero trovati in grado di sostenere, da soli, la pressione di affannosi ritiri, agevolando lo smobilizzo dei loro portafogli valori”.
Nel 1916 il Consorzio venne autorizzato a compiere operazioni di credito navale garantite da speciale privi­legio. Successivi decreti ne prorogarono la scadenza e ne aumentarono di volta in volta il capitale. Nel 1924 ebbe facoltà di emettere buoni fruttiferi a scadenza fissa con possibilità di effettuare la provvista direttamente sul mercato; nel 1928 fu prorogato fino al 31 dicembre 1940.
Nel 1922 venne istituita una Sezione speciale auto­ noma con facoltà, previa provvista presso gli istituti di emissione, di effettuare operazioni quali quelle per l’attuazione del concordato con la Banca Italiana di Sconto ed il Gruppo Ansaldo e, successivamente, quelle a favore del Banco di Roma. La Sezione speciale, costituita nel 1922, divenne Ente di liquidazione finché, con l’istituzione dell’IRI nel 1933, fu assorbita nella Sezione. smobilizzi dello stesso Ente.
La dimensione degli impieghi del Consorzio durante il periodo bellico si mantenne su livelli modesti (82 milioni nel 1919), crebbe con la crisi del dopoguerra (767 milioni nel 1922) e si stabilizzò negli anni successivi (671 milioni nel 1930).
Si veda lo studio sulle Origini e sviluppo del Con­sorzio per Sovvenzioni su Valori Industriali presentato ad Udine da A. M. Biscaini, P. Gnes e A. Roselli, in occasione del Convegno di studi su B. Stringher e pubblicato in questo stesso fascicolo.

(2) CSVI: Relazione al bilancio d’esercizio.

(3) Alla discussione sulla “Relazione dell’Associazione» parteciparono con propri contributi Cesare Vi­vante, Luigi Einaudi, Attilio Cabiati, Maffeo Pantaleoni. I. de Johannis, Costanzo Cantoni, Lorenzo Allievi, Luigi Luzzatti, Roberto Pozzi.

(4) Il fatto che Beneduce fosse anche Presidente della Bastogi non solo non lo indusse mai a proporre tra i partecipanti le aziende elettriche, ma come presidente dell’ICIPU seppe mantenere una totale distinzione di ruoli.

(5) Lettera di Stringher al Ministro dé Stefani del 7 gennaio 1924 (Archivio della Banca d’Italia).

(6) Archivio Beneduce presso la Banca d’Italia.

 

image_pdfVersione stampabile

Numero di caratteri di questo articolo (spazi inclusi): 39506