La mostra delle risonanze
La società civile è fatta di individui e istituzioni. Non sempre gli uni o le altre sembrano capaci di individuare le esigenze di organizzazione dello spazio in cui viviamo. Spesso non sanno esplorare le potenzialità che l’architettura offre, non sanno guardare né pensare il possibile nuovo, il possibile diverso. Guardiamo d’altro canto al mondo degli architetti: ad essi troppo spesso è stato chiesto di costruire oggetti che fossero grida in mezzo alla mediocrità, di realizzare edifici che impressionassero e che attirassero per il loro effetto comunicativo, pensando così di realizzare un contraltare rispetto alla mediocrità dei restanti sviluppi edilizi e urbani. Non a caso agli architetti si è affidata nel passato la progettazione di opere celebrative come i teatri d’opera, i grandi musei, le sedi delle banche, gli hotel di lusso in paesi esotici. Li abbiamo usati come dei maîtres pâtissiers ai quali si chiede di fare belle torte nuziali. Per questo il pubblico li considera ormai sempre più spesso come i signori della festa, capaci di regalarci qualche cosa che sarà impressionante, ma che non ha nulla a che vedere con l’organizzazione della vita individuale e civile.
Per sanare tale frattura La Biennale può dare il suo contributo innanzitutto ponendo questi come suoi temi. Senza negare che esiste il problema del rapporto fra architettura ed ecologia, architettura e tecnologia, architettura e urbanistica, il nodo centrale è rimediare allo scollamento tra architettura e società civile. A partire dalla provocazione di Aaron Betsky, per il quale l’oggetto costruito è la tomba dell’architettura (Architecture beyond building è stata una provocazione massima non del tutto compresa), per arrivare a Kazuyo Sejima, che considera l’architettura attraverso il linguaggio della sua civiltà e costruisce opere il cui messaggio è l’assenza di gerarchie e il rispetto delle funzioni, ottenuto attraverso trasparenza e semplicità di forme (People meet in architecture sottolineava proprio il fatto che l’architettura è il luogo dove la gente si incontra, vive, agisce). Da lì a Common Ground, il tema di quest’anno, il passo è breve ma nella stessa direzione: tornare a parlare di architettura per aiutare gli architetti a uscire dalla crisi d’identità che stanno vivendo, e nello stesso tempo offrire al pubblico la possibilità di guardare dentro l’architettura, rendersela familiare e scoprire che ad essa si può chiedere qualcosa, che il diverso è possibile, che non siamo condannati alla mediocrità.
Quest’anno si vedranno pensieri e riflessioni, idee e conflitti. Questa concezione della Mostra induce inevitabilmente a una modificazione non solo del rapporto tra architetto e curatore, ma anche a un cambiamento nell’approccio dell’architetto chiamato a impostare la sua partecipazione. La Mostra diventa così uno spazio in cui egli realizza un pensiero e un sistema di relazioni tra architetture del passato e architetture presenti, in cui ciò che è esposto si valorizza reciprocamente. È una novità importante nella storia delle mostre di architettura. A differenza del passato, quando a ogni architetto o artista si dava uno spazio, individualizzandone così la partecipazione, quest’anno ci saranno prevalentemente sale espositive popolate di opere di diversi autori piuttosto che celebrazioni di opere singole.
Sarà una mostra fatta di risonanze, in cui l’imprescindibile relazione tra architettura, spazio e urbanistica riemergerà dalle note stesse della risonanza. Si veda per esempio l’interesse degli architetti partecipanti per la città, con particolare attenzione al recupero di edifici esistenti e alla riqualificazione di spazi urbani: la stessa Kazuyo Sejima, che aveva impostato la Mostra da lei diretta sull’opera di singoli architetti, partecipa quest’anno con un’installazione che pone il tema della ricostruzione dell’isola di Miyato-Jima distrutta dallo tsunami. O si guardi a quei partecipanti che hanno attinto ispirazione da un forte legame con i maestri del passato, remoto o recente (Toshiko Mori con Carlo Scarpa e Piranesi, FAT e Andrea Palladio, “l’universo di riferimenti” di San Rocco…), o attivato collaborazioni con altri grandi colleghi contemporanei (Grafton Architects e Paulo Mendes da Rocha, il raggruppamento di Ruta del Peregrino, Kenneth Frampton e Steven Holl, Gort Scott e Renzo Piano…).
O, ancora, si sperimentino le architetture costruite, dalle ricostruzioni in scala 1:1 di edifici realizzati (Anupama Kundoo, che ha letteralmente trasportato materiali e tecniche artigianali dall’India alle Corderie dell’Arsenale) alla fluidità delle forme e degli spazi che Zaha Hadid riesce a far emergere da intricati equilibri di forze strutturali, dalla materializzazione del concetto di patrimonio architettonico e culturale come base “per la ricerca e la costruzione di nuove realtà” operata da Francisco e Manuel Aires Mateus (che si ispirano alla possente architettura delle Gaggiandre dell’Arsenale), fino alle strutture nate dalla collaborazione di Álvaro Siza Vieira ed Eduardo Souto de Moura, che dimostrano perfettamente come questa mostra riecheggi e dilati quella che fu un’esemplificazione puntuale di Bice Curiger (direttrice della 54. Esposizione Internazionale d’Arte) da lei denominata parapadiglioni.
L’evoluzione della mostra va di pari passo con l’evoluzione del pubblico, che non solo cresce numericamente ma appare qualitativamente sempre più importante. Ciò grazie alle iniziative della Biennale create per far diventare la Mostra di Architettura un riferimento per le nuove generazioni, alle quali va dato un terreno di verifica e di confronto che non sia solo la comunicazione abituale ma un luogo più ricco di stimoli inediti. Per sottolineare il carattere della Biennale come luogo di ricerca, quest’anno oltre 60 università tra italiane e straniere partecipano alla Mostra di Architettura grazie al progetto che abbiamo chiamato Biennale Sessions. Ogni università porta circa 50 tra ragazzi e docenti a trascorrere tre giorni con tutte le facilitazioni possibili, per guardare insieme le proposte del mondo e organizzare un seminario. Vorrei che funzionasse come molla per far capire ai giovani che non si può non partecipare. La Mostra si consoliderà con questa azione come il più significativo momento internazionale nel campo dell’architettura.
Ringrazio il Ministero per i Beni e le Attività Culturali che in un momento non facile per la finanza pubblica mantiene il suo decisivo supporto, le Istituzioni del territorio che in vario modo sostengono La Biennale, la Città di Venezia, la Regione del Veneto. Estendiamo il ringraziamento alle Autorità a vario titolo coinvolte e interessate alle strutture nelle quali operiamo nella nostra manifestazione, dal Ministero della Difesa alle Soprintendenze veneziane. Un ringraziamento agli sponsor che hanno voluto dare il loro decisivo contributo, a quanti a vario titolo hanno contribuito alla realizzazione delle singole partecipazioni; e a tutti visitatori il nostro più caloroso benvenuto! E infine un sentito ringraziamento a David Chipperfield, al suo staff e alle strutture operative della Biennale che hanno compiuto il loro ennesimo capolavoro.
Paolo Baratta
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