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La Biennale è interessata a una ricerca sull’architettura nel tempo presente, all’architettura come arte che aiuta a costruire la res publica, gli spazi nei quali viviamo e organizziamo la nostra civiltà, gli spazi nei quali ci riconosciamo, gli spazi che possediamo senza esserne proprietari, ma che sono parte del nostro essere uomini e società.

Nell’osservare le tendenze dominanti  negli  anni  passati,  ci  è  parso che spesso abbiano prevalso un uso dell’architettura come arte della rappresentazione e della celebrazione di sé (della propria potenza economica, del proprio prestigio politico) e un’esigenza di comunicazione pubblicitaria piuttosto che la volontà di interpretare la moderna civiltà e gli ideali che essa può immaginare e proporsi. E a tale fine è stato spesso utilizzato il grande progresso intervenuto nelle tecnologie del progettare e del costruire.

È più che mai auspicio della Mostra che si sviluppi una più articolata ed efficace committenza sia privata che pubblica, dalla quale possano emergere domande e richieste all’architettura che oggi appaiono sopite o ignorate.

Una mostra di Architettura può aiutare utilizzando il proprio linguaggio, che non è solo quello della documentazione ma quello della emozione visiva, che porta a intuire e pensare possibilità nuove  e diverse rispetto al quotidiano e al consueto.

La Mostra di Aaron Betsky nel 2008 si caratterizzò per una sorta di gioioso pessimismo. Pessimismo, per la minor fiducia che sembrava riposta nell’architettura delle costruzioni di fronte a spazi urbani immensi e impersonali ormai compromessi dal dilagare delle periferie degli sprawls. Gioioso perché auspicava l’intervento di un creatività diffusa chiamando a raccolta  designer,  artisti,  creatori  di  immagini, per dare agli spazi  segni  riconoscibili,  capaci  di  personalizzarli  e come tali in grado di ricomporre un percepibile rapporto tra lo spazio, l’individuo e la comunità.

Con Kazuyo Sejima torniamo a una più serena fiducia nell’architettura, proprio come arte del costruire spazi nei quali l’uomo, come individuo e come comunità, realizza i suoi ideali e dà vita alla sua civiltà.

Nel  suo  semplice  rappresentar  se  stessa  essa  parla  del  processo di progettazione come di una ricerca per individuare le funzioni e gli utilizzi degli spazi coinvolti, per poi stabilire le connessioni che devono collegare le varie parti attraverso trasparenze o diaframmi (fisici e psicologici), suggeriti dalla  massima  attenzione  all’uomo,  alla  natura, alla qualità della vita sociale.

È coerente con le sue premesse il progetto di Mostra centrato su un alternarsi di modelli e di visioni che fanno riferimento allo spazio espositivo stesso come spazio da interpretare e utilizzare, mentre il suo apparentemente ridotto numero di partecipanti, ospitati ciascuno in un proprio ambito dedicato, vuole indicare al visitatore l’opportunità di soffermarsi piuttosto che di correre, di distillare emozioni piuttosto che di cercare effetti.

People meet in Architecture vuol anche dire che we become people in architecture; è appunto nella res publica che l’uomo corona il proprio sforzo di costruire la civiltà dell’uomo.

Nel rispetto delle nostre regole che vogliono un curatore unico, ha accettato la qualifica di consulente artistico di Kazuyo Sejima, Ryue Nishizawa, suo partner nello studio SANAA, cui è andato quest’anno, felicissima coincidenza, il premio Pritzker per l’Architettura.

La Mostra di quest’anno è la dodicesima. La storia delle mostre passate può già costituire di per sé oggetto di riflessione. Diverse esperienze sono state compiute, che ci possono illuminare sul cammino da percorrere in futuro.

Anche per questo ci siamo rivolti ai direttori delle passate edizioni della Biennale di Architettura, ai quali abbiamo chiesto di tornare per un giorno pieno a parlare a noi e ai visitatori degli argomenti che più loro aggradano, in liberi seminari nei quali non mancherà certamente qualche riferimento alla loro Biennale, che in tal modo potranno rivivere nel ricordo e nella riflessione come esperienze sempre vive e vitali.

Abbiamo poi avviato una nuova esperienza attivando un  rapporto diretto con università italiane e straniere, offrendo la possibilità di progettare visite organizzate (per studenti e docenti) coronate da un momento seminariale. Abbiamo scritto a facoltà  di  architettura,  ma non solo: anche a facoltà di ingegneria, sociologia, design e comunicazione, ricevendo risposte molto positive. Abbiamo firmato già 27 protocolli e ci accingiamo a siglarne altri. Saranno presenti gruppi provenienti da università italiane e da un certo numero di università straniere di varie parti del mondo, dalla Gran Bretagna alla Georgia.

L’obiettivo: quello di fare della Biennale la sede dove si svolge sistematicamente una piccola parte del curriculum di ricerca e studio delle università.

Concludo questa nota con un ringraziamento a tutti quanti hanno lavorato per questa Mostra, agli sponsor, a quanti hanno contribuito alla sua realizzazione e a chi ci ha consentito di mantenere alta la qualità della stessa e in primo luogo al Ministero per i Beni e le Attività Culturali, che concorre alla Mostra anche con il Padiglione Italia (quest’anno curato da Luca Molinari) nella sua rinnovata dimensione.

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