Intervento di Paolo Baratta su La Repubblica, 13 aprile 1995

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L’ AUTOREVOLEZZA del firmatario (Antonio Cederna) e la drammaticità del titolo (‘Addio ai centri storici’ ) comparso nella ‘Repubblica’ dell’ 8 aprile, mi inducono a illustrare meglio la natura delle novità sulle concessioni edilizie introdotte con il recente decreto (n. 88 del 1995). Con queste norme si accelerano i tempi per le concessioni, da un lato, e si estende l’area degli interventi per i quali si richiede la notifica, dall’altro. Senza minimamente intervenire sui vincoli, si vuole conseguire miglior efficienza nella Pubblica Amministrazione locale e più chiari rapporti con i cittadini, in luogo del silenzio-assenso che non ritengo adeguato. Il cosiddetto silenzio-assenso, infatti, strumento valido di accelerazione se applicato a passaggi burocratici secondari, diventa strumento improprio se adottato quale sostituto di un atto di concessione; esso infatti non è sostituto perfetto e non garantisce al cittadino certezza di diritto.

Le novità introdotte hanno riscosso vasti consensi e alcune critiche di due contrapposti tipi. Da un lato c’è chi mi accusa, avendo abolito il silenzio-assenso, di aver “reintrodotto” i vincoli; dall’altro c’è chi mi accusa, avendo modificato le procedure burocratiche, di aver “ceduto” sui vincoli. Queste piccole polemiche dimostrano evidentemente che in materia vi è qualche confusione. Orbene, distinguiamo i tre problemi: quello dei vincoli e dei piani urbanistici, quello delle procedure amministrative, quello del controllo e della repressione degli illeciti.

Quanto ai vincoli. E’ noto, ma sono sovente costretto a richiamarlo, che la gestione urbanistica non è competenza del governo centrale ma delle regioni e dei comuni. Lo Stato con leggi generali pone vincoli in merito ai beni storico-artistici, ambientali o paesistici, oppure altri vincoli speciali connessi con la tutela del territorio. Il nostro decreto legge in nessun modo incide su questa materia. Se vi è o non vi è una adeguata politica di tutela di un centro storico, al di là dei beni tutelati dalla legge nazionale, è materia da affrontare in sede locale. Il ministro dei Lavori Pubblici e dell’Ambiente è ben lieto come cittadino e come responsabile della politica del territorio di manifestare tutto il suo appoggio e impegno personale per rafforzare una cultura di tutela dei centri storici e più in generale della qualità urbanistico-architettonica delle nostre città. Su questo punto non accetta sgomitate per occupare la prima fila. Il ministro semmai si rammarica profondamente nel constatare, nella campagna elettorale in corso per le elezioni regionali e comunali, l’assenza di discussione su molte delle questioni che investono direttamente la responsabilità degli enti locali (dai lavori pubblici, all’urbanistica, alla tutela del territorio, alla questione dell’acqua, alla tutela ambientale), questioni tutte sulle quali alla diffusa autonomia locale non sempre corrisponde la volontà di esercitarla in pieno.

Il secondo problema è quello delle procedure con cui le burocrazie locali verificano la conformità di un progetto rispetto alle norme in vigore dando riconoscimenti formali a diritti. Con il provvedimento si è intervenuti solo su questa questione. E’ falso affermare che con le nuove norme vengono scardinati i piani regolatori o si modificano i vincoli sulle destinazioni d’uso. Il fatto di richiedere un atto di notifica al posto di una concessione in nulla modifica i vincoli alla edificabilità, a quelli sulle destinazioni d’uso o alle destinazioni dei piani, che compete ai consigli comunali definire e non ai funzionari decidere. Nel caso degli interventi per cui si è introdotta la notifica si è aggiunta una misura molto forte: il progettista che presenta la notifica agisce nella responsabilità di incaricato di un pubblico servizio.

Viene poi il problema dei controlli degli abusi e della loro repressione, sia che si tratti di realizzazioni in difformità rispetto a quanto notificato o concesso, o di lavori realizzati senza avere formalizzato l’atto amministrativo, e in difformità rispetto alle norme e ai vincoli. Che può fare il ministro dei Lavori Pubblici, che può fare l’amministrazione dello Stato in queste materie che per la parte di controllo amministrativo è nella competenza degli enti locali? Con il decreto legge si introducono sanzioni per i Consigli comunali che non hanno adottato un piano regolatore (sono ancora più di duemila). Si mettono a disposizione del sindaco somme per le demolizioni, a valere sulle entrate dal condono. Sempre per le demolizioni si mette a disposizione l’esercito.

Si tratta di norme già annunciate in decreti precedenti. Sono aperto a tutti i suggerimenti utili per interventi normativi che possano indurre le amministrazioni locali ad agire. Giacché questo è il problema: tanto più chi provvede è vicino ai destinatari della sanzione e tanto maggiore è la difficoltà di adottare provvedimenti impopolari. In altri termini, i sindaci sono sempre in grave imbarazzo a intervenire contro i propri elettori. Inasprire le pene davvero aumenta la probabilità che ciò accada? Anche su questo fondamentale problema di funzionamento di un sistema decentrato di autonomie la campagna elettorale registra diffuso silenzio! E ho davanti a me i primi dati sul condono che confermano le preoccupanti dimensioni del fenomeno dell’abusivismo e che danno una mappa geografica degli illeciti ora sanati, ma anche della inazione delle locali amministrazioni.

Paolo Baratta, Ministro dei Lavori Pubblici e dell’Ambiente

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