In “Rivista del Credito Popolare”, n.9-10, settembre-ottobre 1986, pagg. 3-7

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Le giornate del Mezzogiorno che si tengono puntualmente ogni anno qui a Bari mi sembra conferiscano alla Fiera del Levante una connota­ zione unica: quella di essere insieme sede di promozione degli scambi, e occasione di dibattito e di proposta politica su quello che resta il pro­blema centrale del Paese. Altre volte in passato ho partecipato con la Svimez a questa giornata; vi ritorno oggi in altra veste, ma in spirito di sostanziale continuità con le passate partecipazioni.

Ritengo che in ultima analisi i termini reali della questione siano ancora quelli indicati dalla Svimez con particolare vigore nei Rapporto sul Mezzogiorno di quest’anno: un’offerta di lavoro che non solo è già largamente eccedentaria, ma che tende ad aumentare ulteriormente; un volume di iniziative imprenditoriali insufficiente ad impedire che si aggravi la disoccupazione.

Nel 1985, ad esempio, le forze di lavoro meridionali sono aumentate di 150.000 unità (contro 40.000 in Centro-Nord). Solo 70.000 hanno trovato occupazione. La disoccupazione è aumentata quindi di 80.000 unità, raggiungendo un’incidenza sulle forze di lavoro del 15% (contro 1’8,5% del Centro-Nord). Per quanto in misura insufficiente, l’occupa­ zione è aumentata nel Mezzogiorno al prezzo di un allargamento del di­ vario di produttività con il Centro-Nord. «Se nel Mezzogiorno – si legge nel “Rapporto Svimez” – le produttività settoriali fossero pari a quelle del Centro-Nord, il numero dei disoccupati meridionali sarebbe all’incirca doppio di quello rilevato». Nel prossimo futuro l’offerta di lavoro del Mezzogiorno continuerà ad essere alimentata dall’ingresso di leve giovanili ancora numerose e da una crescente partecipazione femminile, mentre sulle prospettive dell’occupazione grava una duplice ombra. Da un lato, in tutto l’occidente industrializzato i tassi di crescita della do­ manda sono troppo bassi e i tassi di crescita delle produttività troppo alti perché vi sia spazio per un numero di nuove iniziative capaci, non solo di compensare le riduzioni di occupazioni conseguenti alle ristrutturazioni, ma di generare un apprezzabile incremento netto di posti di lavoro.

D’altro lato, per quanto riguarda il Mezzogiorno, sia la natura del progresso tecnico sia l’incertezza e l’articolazione dei mercati accentuano gli svantaggi di localizzazione in regioni in cui lo sviluppo dell’economia e della cultura industriale sia ancora inadeguato. L’incentivo finanziario non è ovviamente lo strumento idoneo ad eliminare tali fattori ambientali di svantaggio; spesso, anzi, non è nemmeno sufficiente a coprire i costi addizionali che quei fattori determinano per le imprese.

La parificazione tra Nord e Sud delle condizioni ambientali di con­venienza dell’investimento industriale è compito precipuo delle azioni pub­bliche volte all’adeguamento degli assetti territoriali, delle dotazioni in­frastrutturali e di servizi di pubblica utilità, della qualificazione delle loro gestioni.

Tali azioni, oltre a determinare direttamente un contesto territo­riale più favorevole dell’insediamento di imprese, potrebbe contribuire indirettamente, attraverso l’attivazione della domanda pubblica, alla for­mazione di quell’offerta di competenze e di servizi altamente qualificati, di cui è ormai da tutti riconosciuta l’importanza decisiva, nell’attuale fase del progresso tecnico, ai fini dello sviluppo di imprese chiamate ad operare su mercati fortemente concorrenziali.

Il rapporto Svimez giustamente precisa che «con ciò non s’imbocca la linea tradizionale della costruzione di opere pubbliche al fine di dare occupazione. Quelle opere e quei servizi, e non solo la loro costruzione, ma soprattutto la loro efficace manutenzione ed efficiente gestione … sono urgentemente richieste sia perché concorrono a creare la convenien­za ad investire, sia per consentire un ordinato svolgimento della vita civile».

E tuttavia sarebbe errato negare il ruolo decisivo che gli incentivi finanziari, e tra essi il credito agevolato, hanno avuto in passato per la industrializzazione del Mezzogiorno.
E tale ruolo resta importante anche in prospettiva.

La nuova legge per il Mezzogiorno ha confermato lo strumento del credito a medio termine agevolato quale veicolo per far giungere alle Imprese incentivi ed agevolazioni in aggiunta ai contributi a fondo per­duto. Come è noto, con questa stessa legge si è accentuato anche il ruolo degli istituti speciali nell’amministrazione degli incentivi agli investimenti.

Sul cosiddetto credito agevolato è stato detto moltissimo, sia in passato che in occasione della discussione della nuova legge. Argomenti di varia natura sono stati spesso intrecciati nel turbinio di una discus­sione che sovente è stata polemica. Polemica che si è spesso frammista con quella sulle grandi questioni settoriali degli anni settanta, quella ad esempio delle vicende chimiche e siderurgiche, non sempre con il risul­tato di una grande chiarezza.

Debbo dire al riguardo che a me non è parso mai utile limitarsi a trovare un capro espiatorio nel credito agevolato per scelte di svi1uppo industriale che al dunque si rivelarono orientate da previsioni troppo ottimistiche. Così come non mi è parso mai utile puntare il dito accu­satore contro il Mezzogiorno facendo carico ad esso e alle politiche di industrializzazione di quest’area, degli errori di impostazione e valuta­zione che riguardano in realtà progetti e piani nazionali di industrializza­zione in quei settori.

Ritengo che il miglior servizio che si possa rendere alla discussione oggi sia di affrontare le questioni connesse con il credito agevolato con mente serena senza sottovalutare i moltissimi problemi che esso pone, ma senza neppure cedere a demonizzazioni irrazionali.

Orbene fin dall’inizio della politica di industrializzazione del Mezzo­giorno si ritenne di far riferimento ad un particolare strumento creditizio. Ci si riferì al credito a lungo termine con rimborso a rate, garantito da ipoteche sugli impianti che con esso si realizzano, ed erogato da istituti speciali che sarebbero rifinanziati con emissioni obbligazionarie.
Si trattava di un modello di attività creditizia, derivato dal credito fondiario-ipotecario, già ampiamente sperimentato in Italia, seppure con altre finalità.
Esso aveva trovato, infatti, sistematica applicazione in particolare tra la prima e la seconda guerra mondiale nel finanziamento delle in­frastrutture (bonifiche, ferrovie, ecc.) e delle imprese di pubblica utilità (elettricità, telefoni).

Grazie all’azione del Crediop, a partire dal 1919, e dell’Icipu dal 1924, si era sviluppata con successo questa attività, e con essa si era creato di fatto il mercato obbligazionario in Italia.

Sulla scorta di un’esperienza ampiamente positiva, si estese questo tipo di intermediazione al finanziamento degli investimenti manifattu­rieri, introducendo agevolazioni sugli interessi per quelli destinati agli investimenti nell’area da industrializzare, così come, su scala nazionale, per quelli destinati a concorrere alle spese di investimento della piccola impresa.

Nonostante questa estensione su scala nazionale, si può dire che questo tipo di credito abbia caratterizzato in particolare lo sviluppo industriale meridionale, a differenza della diffusione dell’industria al Nord, nei decenni del miracolo, che fu finanziata prevalentemente da ampio ricorso al credito di tipo ordinario, oltre che da un ampio autofinan­ziamento.

Sono stati già ampiamente analizzati i limiti di ciascuno di questi due «modelli» e, per quanto qui ci interessa, sono stati già ampiamente analizzati i limiti che può presentare il credito a medio termine all’in­dustria se esso non si evolve a sufficienza nelle modalità operative verso la moderna forma di credito industriale, rispetto alle modalità operative del credito di tipo ipotecario dal quale trae lontana origine e, nel caso del credito agevolato, se tali modalità operative risultano troppo condi­zionate da esigenze formali di tipo amministrativo pubblico.

Va però anche detto che gli aspetti di questa forma di credito che possono apparire limiti e insufficienze a fronte di un moderno sistema industriale si possono dimostrare pregi nel caso di un processo di in­dustrializzazione ai suoi inizi in un’area non sviluppata. E così in larga parte è stato, mi pare, nel caso del Mezzogiorno nei decenni passati. Se avere ipoteche sugli impianti quale riferimento essenziale del credito a lungo termine può essere all’origine di una sua applicazione in termini limitati e riduttivi è pur vero che di fronte a un processo di iniziale industrializzazione esse possono costituire il solo obiettivo rife­rimento di fronte alle incertezze del totalmente nuovo.

L’aver costretto l’industria ad accendere finanziamenti a medio ter­mine per ottenere agevolazioni, se può aver introdotto qualche rigidità nella finanza aziendale, ha, pur tuttavia, consentito che le imprese, le nuove imprese, nascessero e si evolvessero con una struttura nel passivo (mezzi propri – debiti a breve – debiti a lungo) articolata e tendenzial­mente stabile e ciò non è poco per un processo di nuova industrializza­ zione. A tale stabilità ha certamente giovato il contributo che ove non uti­lizzato per far fronte a oneri di inefficienza ha concorso a sua volta al rafforzamento della situazione patrimoniale soprattutto da quando nella normativa stessa si è reso necessario il dimostrare la disponibilità di mezzi propri per il 30% dei fabbisogni quale condizione per poter ottenere credito agevolato.

Non posso non ricordare poi come l’ottenimento di questo tipo di credito ha comportato processi di valutazione istruttoria sia ai fini ban­cari propri sia ai fini degli accertamenti formali richiesti dalla legge di incentivazione che hanno svolto una funzione di grande rilievo.

I vari momenti del procedimento istruttorio: il riconsiderare con meticolosità i costi e le spese previste, la necessità di approntare conti economici previsionali, piani finanziari pluriennali di esborsi e coperture, ecc. hanno rappresentato un contributo non di poco conto alla disciplina e all’autodisciplina degli imprenditori.

Le decine e decine di istruttori che hanno a tal fine lavorato rap­presentano oggi un patrimonio di capacità professionali quanto mai im­portante nel sistema bancario.

Quanto poi alle agevolazioni, un bilancio sull’esperienza compiuta non dovrà dimenticare il contributo in termini di basso costo del de­naro di cui ha potuto fruire l’industria che ne ha fatto uso.
Ricordiamo che negli anni in cui il tasso d’interesse di mercato e il tasso d’inflazione salirono e si attestarono intorno al 20% sussiste­vano mutui a medio termine stipulati precedentemente a tassi del 4% e potevano essere stipulati finanziamenti al 6-$%.

Perché esso possa operare con efficacia e rispondere in modo ade­guato alle nuove condizioni del mercato e alle nuove esigenze della finanza industriale occorre che siano soddisfatte alcune condizioni.

Come ho detto la nuova legge riconferma anzi accentua rispetto al passato il ruolo degli istituti speciali nelle procedure di amministrazione delle agevolazioni pubbliche. Si chiude con questa precisa svolta l’ampia discussione sul problema e sui rischi di una commissione di funzioni che aveva portato qualche anno fa a proposte orientate al­ l’opposto alla ricerca di una netta separazione.
Non mi trattengo su questioni di natura giuridica pur di rilevante importanza che si pongono al riguardo e sui ben noti rischi di confusione tra scelte imprenditive e reati amministrativi. Mi preoccupa qui richia­mare il rischio che in un quadro non chiaro, al nostro interno le preoc­cupazioni per le formalità amministrative possano prendere il soprav­vento a tutto detrimento della professionalità bancaria.

Se la normativa secondaria, le convenzioni, ecc., non saranno im­prontate a chiarezza per quanto riguarda la diversità fondamentale tra attività bancaria e adempimenti amministrativi, la professionalità ban­caria rischia di essere condizionata e soffocata.

E di professionalità a livello elevato vi è invece bisogno nel nuovo quadro entro il quale dovrà essere sviluppata l’azione di credito a medio termine in particolare di quello agevolato.
L’industria meridionale deve misurarsi anche nel suo finanziamento con le forme più aggiornate offerte dal mercato. L’Europa e la liberaliz­zazione dei mercati finanziari batte ormai insistentemente alle porte.

La diminuita efficacia garantista delle ipoteche nel nuovo quadro di norme e consuetudini fa emergere senza più alcun velo, il credito a medio termine all’industria nella sua più precisa natura di credito ad elevatissimo grado di rischio; l’impossibilità dello smobilizzo di un credito a medio termine gli conferisce un grado di rigidità superiore alla stessa partecipazione azionaria.
Erogare credito a lungo termine è poco diverso dall’assumere una posizione di associazione in partecipazione.

Esso va negoziato con l’impresa, in relazione al verificarsi di molte condizioni: apporto di adeguati mezzi propri, mantenimento di equili­brate strutture finanziarie in rapporto ai rischi che l’impresa assume, adeguamenti organizzativi e nelle strutture manageriali, ecc.
Un rapporto negoziale complesso dunque che richiede una verifica e uno svolgimento continui anche dopo l’erogazione nel corso, degli anni successivi e che, se svolto con intelligente severità, rappresenta il più notevole servizio che un istituto possa rendere ad un’impresa.

Tutto ciò richiede una professionalità assai simile a quella delle banche d’investimento. Tutto ciò richiede affrontare questioni di natura ben diversa dagli accertamenti di fatti fisici o reali quali quelli che possono interessare i procedimenti di erogazione di agevolazioni pub­bliche.

L’impegno a sviluppare ulteriormente l’articolazione dell’attività e le capacità professionali di cui disponiamo è pieno. L’auspicio è ancora una volta che le norme applicative, le convenzioni e quant’altro sarà necessa­rio per rendere operante la nuova legge del credito agevolato, non siano tali da frustrare tale impegno.

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